Si chiamavano Maria e Giovanni, ma per me erano gli zii di campagna, anche se in realtà non esistevano vincoli di parentela. Da piccola trascorsi lunghi periodi nella loro casa e con il tempo mi affezionai a quegli zii, così diversi da mamma e papà, anziani e legati al ritmo della terra, al lavoro nei campi e agli animali a cui badare quotidianamente nella stalla.Una notte lo zio Giovanni, che dormiva con la zia nella mia stessa stanza, si svegliò di soprassalto, scese le scale di corsa, attraversò il cortile e s’infilò nella stalla. Lo seguii di nascosto e fu così che assistetti alla nascita di un vitellino. Ma più di ogni altra cosa mi divertivo a entrare di soppiatto nel laboratorio del loro figlio Renzo per spiare tra i suoi arnesi da lavoro dalle forme più bizzarre. M’incantavano quelle matasse aggrovigliate fatte di fili elettrici, attrezzi e pezzi di metallo. Renzo si divertiva a costruire giocattoli per me, come la macchinetta a pedali, il triciclo e il telefono senza fili. Fu lui a insegnarmi le prime parole in inglese: I am a beautiful girl, che mi faceva ripetere mentre io lo guardavo dal basso all’alto e gli strappavo la promessa che un giorno, quando sarei diventata grande, mi avrebbe sposato. Il giorno più bello fu quello in cui Renzo mi regalò un paio di ali bianche, fatte di piume morbide e leggere, che lui aveva costruito per me. Me le applicò sul dorso, appoggiate alle scapole e... mi insegnò a volare! Mi suggerì di allargare le ali e aspettare che la brezza del vento le scuotesse, e poi, di liberare la mia fantasia per sollevarmi nell’aria come un angelo e innalzarmi sopra gli alberi, le case e i campi di papaveri, su... su... sempre più in alto, con le ali di Icaro, per atterrare, infine, nel giardino della mia casa. Lì avrei rivisto mamma e papà e raggiunto i miei tanti fratelli, per far vivere anche a loro la magia delle mie ali incantate.
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